Dante e i Catari

Nel XVI° canto del Purgatorio, Dante giunge alla terza Cornice ove si trovano coloro che devono mondarsi dall’ira, avvolti da un denso fumo che acceca e soffoca. In questa cornice, coloro che vi si trovano pregano cantando Agnus Dei, ovvero invocano l’Agnello di Dio, cosa che racchiudeva in se ogni concordia.

In questo fumo Dante scorge la voce di un personaggio che nel corso del dialogo non appare certamente iracondo. Ci si potrebbe chiedere perché si trovi fra gli iracondi. La risposta verrà più avanti.

Dante gli chiede:

«… non mi celar chi fosti anzi la morte,
ma dilmi, e dimmi s’i’ vo bene al varco;
e tue parole fier le nostre scorte»

Dante quindi gli chiede due cose:

               Chi egli sia

               E se sta procedendo sul giusto cammino verso l’Alto.

Quindi il Poeta vuol suggerire che questo personaggio, che ora introduce conosce la strada per andare verso l’Alto.

Il personaggio risponde a Dante:

«Lombardo fui, e fu’ chiamato Marco;
del mondo seppi, e quel valore amai
al quale ha or ciascun disteso l’arco.

Per montar sù dirittamente vai».

Si tratta di Marco di Lombardia, Vescovo Cataro della chiesa di Concorezzo, appartenente alla corrente cosiddetta “mitigata”. Di questa chiesa ci è pervenuto il testo che Nicetas, patriarca Bogomilo diede al Vescovo Nazario (della chiesa di Concorezzo). Il testo è noto come “Interrogatio Johannes”, Le domande di Giovanni (edito anche in Italiano dalla Adelphi, nel testo “La Cena Segreta”).

La fede Catara è quel valore << al quale ha or ciascun disteso l’arco>>, ovvero, che fu perseguitato duramente anche in Italia.

Marco soggiunge anche << Per montar sù dirittamente vai>>, ovvero per andare verso l’Alto, per incamminarti sul cammino di ritorno al Regno del Padre delle Luci, <<dirittamente vai>>, cammina sulla Retta Via, vivi secondo le norme del puro cristianesimo gnostico, che i catari abbracciarono sino alle più dure conseguenze.

Marco continua:

Così rispuose, e soggiunse: «I’ ti prego
che per me prieghi quando sù sarai».

Marco di Lombardia chiede a Dante di Pregare per lui. Sembra che Marco riconosca Dante come suo Fratello in spirito, tanto da chiedergli perfino di pregare per lui, ma forse c’è anche dipiù.

Nelle comunità Catare quando un giovane incontrava un anziano, un perfetto, o anche quando due anziani si incontravano era uso fare il Melhorament. Si trattava di una triplice genuflessione che terminava con la supplica <<Benediteci, abbiate pietà di noi>>. A questa triplice genuflessione seguivano il bacio della pace e la supplica <<Buoni Cristiani, dateci la benedizione di Dio e la Vostra; pregate il Signore per noi che ci protegga da una cattiva morte e ci conduca a una buona fine o nelle mani dei fedeli Cristiani>>, la risposta era <<Ricevetela da Dio e da noi; Dio vi benedica, strappi la vostra anima da una cattiva morte e vi conduca a una buona fine>>.

La richiesta di pregare per lui, fatta da Marco a Dante e la sua risposta potrebbero ascondere <<sotto il velame de li versi strani>>, l’immagine stilizzata di un Melhorament.

 

Dante, infatti, nel verso successivo dice:

E io a lui: «Per fede mi ti lego
di far ciò che mi chiedi; ma io scoppio
dentro ad un dubbio, s’io non me ne spiego.

Dante afferma <<Per fede mi ti lego>>. Questa frase è legata a quella successiva << di far ciò che mi chiedi>>. Questo è un artifizio strutturale, ovvero, la frase completa è <<Per fede mi ti lego di far ciò che mi chiedi>>, quindi il senso apparente sarebbe <<Ti prometto di fare quanto mi hai chiesto>> come a concludere la stilizzazione del Melhorament di cui abbiamo parlato.

Tuttavia, vi si trovano anche altri aspetti complementari a quanto già esposto. Questa terzina così concepita fa terminare la prima riga con la sola parte <<Per fede mi ti lego>>, ovvero, <<Siamo legati perché condividiamo la stessa fede>>, si tratta della Fede Cristiano Gnostica dei catari.

Il cristianesimo Gnostico è Dualista, ovvero, considera l’esistenza di una Natura Divina originale e di una Natura della Morte, generata da potenze Cadute. Il Mondo Divino è retto dal Padre delle Luci mentre questo mondo materiale è sotto il dominio del “Principe di Questo mondo”, che i Catari chiamavano Lucibel. Il mondo creato e retto da Lucibel, nome che indica Lucifero, l’Angelo Caduto, l’equivalente del Jaldabaoth che troviamo nei testi di Nag-Hammadi è un mondo diviso fra valori relativi ed incostanti come bene e male, giorno e notte, luce e tenebra. Il bene assoluto non può essere trovato se non nel Regno di Dio, nel Mondo Divino retto dal Padre delle Luci. Nel Cristianesimo, Lucibel o Lucifero è anche chiamato Diavolo, dal latino Diabolus, che significa <<Divisore>>, ma anche Satana che significa <<grande avversario>>. Nel vangelo di Luca leggiamo <<Ora, se anche satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno?>>. Che questo mondo sia ambivalente e che sia bene sia male siano in realtà soggetti al Principe di questo mondo non è cosa nuova nemmeno nelle scritture canoniche visto che nella prima lettera ai corinzi leggiamo <<Tra i perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo che vengono ridotti al nulla; parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria. Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla>>. Le forze che dominano questo mondo cercano d’imitare quelle del Regno del Padre e così, nella seconda lettera ai corinzi, leggiamo: <<Ciò non fa meraviglia, perché anche satana si maschera da angelo di luce. Non è perciò gran cosa se anche i suoi ministri si mascherano da ministri di giustizia; ma la loro fine sarà secondo le loro opere.>>. Nella lettera agli Efesini, poi, l’Apostolo Paolo scrive <<Per il resto, attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza. Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti>>.

Dante a questo punto vuol introdurre la Dottrina delle due Nature di cui abbiamo appena parlato e lo fa con un artifizio, ovvero, la espone in modo criptico motivando questa sua esposizione con la necessità di sciogliere un dubbio, infatti  dice a Marco <<ma io scoppio dentro ad un dubbio, s’io non me ne spiego>>.  Nel versetto successivo vedremo come questo dubbio non sia assolutamente vero poiché termina con le parole << … che mi fa certo qui, e altrove, quello ov’ io l’accoppio>>.

Vediamo i versi in questione, per esteso:

<<Prima era scempio, e ora è fatto doppio
ne la sentenza tua, che mi fa certo
qui, e altrove, quello ov’ io l’accoppio.

Lo mondo è ben così tutto diserto
d’ogne virtute, come tu mi sone,
e di malizia gravido e coverto;

ma priego che m’addite la cagione,
sì ch’i’ la veggia e ch’i’ la mostri altrui;
ché nel cielo uno, e un qua giù la pone»

La prima terzina dice << Prima era scempio, e ora è fatto doppio ne la sentenza tua>>. Nella fede di coloro che perseguitarono i catari non è accettata la dottrina delle due nature. Difatti il mondo, secondo tale fede, è uno ed una sola è la natura.

 

Tutto il creato è opera di un unico Dio. Tuttavia in esso operano sia le forze di Dio sia quelle dell’angelo ribelle divenuto il Diavolo, in seguito alla sua caduta dal Paradiso. Quindi il mondo, secondo tale fede, è diviso, è conteso fra Dio e il Diavolo.

 

Il verbo scempiare significa fare a pezzi, smembrare un qualcosa (in origine intero, unico).

 

Ne deriva che una chiesa che non ammette le due nature vede un mondo scempiato, frammentato, dalla lotta fra il bene e il male, fra Dio e il Diavolo.

 

La fede Catara, invece non considera una sola creazione ma due, poiché considera l’esistenza di due nature.

 

Quindi <<Prima era scempio>>, secondo la teologia dei persecutori dei Catari, ma << ora è fatto doppio>>, nella dottrina Catara.

 

Dante afferma, poi, che sottoponendo tale dottrina all’esame della sua esperienza la trova solida e valida << che mi fa certo qui, e altrove, quello ov’ io l’accoppio>>.

 

<<Lo mondo è ben così tutto diserto
d’ogne virtute, come tu mi sone,
e di malizia gravido e coverto;

ma priego che m’addite la cagione,
sì ch’i’ la veggia e ch’i’ la mostri altrui;
ché nel cielo uno, e un qua giù la pone>>

Dante vuole ora affrontare, per poterlo esporre, il motivo per il quale questo mondo materiale sia così carico di malvagità e, nel contempo, parlare del libero arbitrio. Infatti, dice che alcuni collocano la causa di ogni male in cielo e altri sulla terra, ma pochi riflettono sul fatto che sia l’uomo stesso la causa di ogni disarmonia con il Divino.

 

<< Alto sospir, che duolo strinse in «uhi!»,
mise fuor prima; e poi cominciò: «Frate,
lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui.

Voi che vivete ogne cagion recate
pur suso al cielo, pur come se tutto
movesse seco di necessitate.

Se così fosse, in voi fora distrutto
libero arbitrio, e non fora giustizia
per ben letizia, e per male aver lutto.

Lo cielo i vostri movimenti inizia;
non dico tutti, ma, posto ch’i’ ‘l dica,
lume v’è dato a bene e a malizia,

e libero voler; che, se fatica
ne le prime battaglie col ciel dura,
poi vince tutto, se ben si notrica>>.

 

L’uomo deve quindi imparare a ben utilizzare il libero voler e se patisce delle pene è perché la sua condotta non è stata quella attesa, quella orientata al Servizio di Dio. Se l’uomo si lascia trascinare dal fascino della materia e si accontenta di essa << di quel si pasce, e più oltre non chiede>>.

 

Marco,  illustra la ragione delle miserie umane e conclude la sue esposizione dicendo:

 

<<Ben puoi veder che la mala condotta
è la cagion che ‘l mondo ha fatto reo,
e non natura che ‘n voi sia corrotta>>.

 

Il Cristianesimo Gnostico segue una via Regale e Sacerdotale, come del resto di Gesù è detto, nel nuovo testamento, che è Sacerdote alla maniera di Melkisedek. Melkisedek era Re di Salem e Sacerdote dell’Altissimo. Questi due aspetti sono rappresntati nelle seguenti terzine:

 

<<Soleva Roma, che ‘l buon mondo feo,
due soli aver, che l’una e l’altra strada
facean vedere, e del mondo e di Deo.

L’un l’altro ha spento; ed è giunta la spada
col pasturale, e l’un con l’altro insieme
per viva forza mal convien che vada;

però che, giunti, l’un l’altro non teme:
se non mi credi, pon mente a la spiga,
ch’ogn’ erba si conosce per lo seme.>>

 

La prima terzina recita <<Soleva Roma, che ‘l buon mondo feo, due soli aver, che l’una e l’altra strada facean vedere, e del mondo e di Deo.>>. Qui l’antica Roma è presa come immagine dell’equilibrio, nei Misteri, fra la funzione Regale e quella Sacerdotale, fra il <<libero voler>> e l’attitudine al servizio del proprio Dio.

 

Quando il libero voler è applicato sulla base di un formalismo e non di una vera coscienza, nata dall’esperienza fatta nel servizio quotidiano al proprio Dio, si può parlare solo di un abuso e infatti Marco dice <<e l’un con l’altro insieme per viva forza mal convien che vada>>. Quando, invece, il ibero voler e l’attitudine al servizio lavorano assieme << giunti, l’un l’altro non teme>>, non vi è disarmonia fra queste due funzioni.

 

La terzina termina con le parole << se non mi credi, pon mente a la spiga, ch’ogn’ erba si conosce per lo seme>>.

 

Esiste una Gnosi Cristiana, ma esiste anche una Gnosi pre-cristiana, Dante vuol far comprendere che l’essenza dell’insegnamento, tuttavia, è sempre uguale a se stessa.

 

Per far questo nella terzina fa dire a Marco << se non mi credi, pon mente a la spiga, ch’ogn’ erba si conosce per lo seme.>>.

 

Nei misteri Eleusini agli iniziati veniva mostrata una spiga, vediamo così un richiamo a tali misteri, fatto da un Vescovo Cataro, come a tracciare una linea che unisce tutte le maifestazioni Gnostiche che, nei secoli, a più riprese, si sono offerte come metodo di rigenerazione e di salvezza per l’umanità caduta.

 

Marco verso la fine del Canto dice:

 

<<or può sicuramente indi passarsi

per qualunque lasciasse, per vergogna,

di ragionar coi buoni o d’appressarsi.>>

 

Ovvero, in queste terre può stare sicuro chi per vergogna evita di ragionare con i buoni o anche solo d’avvicinarli.

 

Chi sono però i <<buoni>>?

 

Ricordiamo che il termine <<Cataro>> fu coniato dagli inquisitori, ma i Catari fra loro si chiamavano Buoni Uomini o Buone Donne o più semplicemente Buoni Cristiani.

 

Quindi Marco qui illustra la situazione di emarginazione e di persecuzione dei Buoni, ovvero, dei Catari nel nord Italia.

Continua poi dicendo:

 

<<Ben v’èn tre vecchi ancora in cui rampogna

l’antica età la nova, e par lor tardo

che Dio a miglior vita li ripogna:>>

 

Egli parla di <<tre vecchi>> in cui è ancora viva l’eredità della <<antica età>>. Questa eredità dell’antica età è il cristianesimo gnostico e nella fattispecie proprio di quello Cataro. Lo si deduce dall’avversione per il mondo che s’intravede dalle parole << e par lor tardo che Dio a miglior vita li ripogna>>.

I <<tre vecchi>> sono:

 

<<Currado da Palazzo e ‘l buon Gherardo

e Guido da Castel, che mei si noma,

francescamente, il semplice Lombardo.>>

 

Questi tre personaggi furono uomini stimati, per le loro qualità e per la loro integrità. Quindi sono l’immagine di qualcosa di moralmente integro. Dante li usa proprio come simbolo d’integrità.

 

Ne deriva che ciascuno di essi è l’immagine del puro Cristianesimo Gnostico dei Catari.

Informandoci, poi, sulla storia di questi tre personaggi (usati da Dante solo come simbolo), si scopre che erano legati a tre luoghi molto importanti per il Catarismo Italiano:

 – ‘l buon Gherardo (ovvero Gherardo III) – Marca di Treviso

 – Currado da Palazzo – Brescia

 – Guido da Castello – Verona

All’inizio di queste riflessioni ci si interrogava sul perché mettere Marco Lombardo proprio nella terza cerchia del Purgatorio, nel luogo ove si mondano gli iracondi, tanto più che dalle parole di Marco non traspare alcun tratto d’ira, ne dal suo racconto possiamo dedurre un passato di persona irosa.

 

Quindi dev’essere un altro il morivo di una tale collocazione.  

 

Il canto inizia così:

<<Buio d’inferno e di notte privata

d’ogne pianeto, sotto pover cielo,

quant’ esser può di nuvol tenebrata,

 

non fece al viso mio sì grosso velo

come quel fummo ch’ivi ci coperse,

né a sentir di così aspro pelo,

 

che l’occhio stare aperto non sofferse;

onde la scorta mia saputa e fida

mi s’accostò e l’omero m’offerse.>>

 

 

Il luogo descritto da Dante è immerso in un denso fumo che acceca, proprio come l’ira acceca la coscienza e fa compiere agli uomini i peggiori errori.

 

Dante per procedere in un simile luogo ha bisogno di una guida, che nemmeno può vedere. Virgilio, infatti, offre, all’accecato Dante, il braccio.

 

Questo luogo sembra essere l’immagine del mondo materiale che acceca l’Anima,  con le sue astuzie, proprio come la coscienza ordinarie è accecata quando l’ira prende il sopravvento.  

 

In un simile mondo l’uomo ha necessità di una guida.

  

Questa guida è spesso inconscia, poiché gli occhi della sua anima non possono scorgerla, tuttavia sotto un certo aspetto può avvertirla interiormente.

 

Da dentro alla pesante coltre di fumo, nel bel mezzo di questo mondo caotico, una voce giunge sino a Dante, un appello è lanciato verso gli uomini, si tratta dell’appello del Padre, dell’appello della Gnosi. 

L’obiettivo di questo intervento del Padre è di stimolare, negli uomini il desiderio di guarire dalla propria cecità.

Questo è solo un piccolo esempio della ricchezza contenuta nella Commedia di Dante, che il Boccaccio giustamente definì Divina.

 

Buon cammino!

RUMORE E SILENZIO

QUANDO NELLA NOSTRA VITA CERCHIAMO QUALCOSA DIPIU’ DELLA COMUNE QUOTIDIANITA’,

 

QUANDO SENTIAMO CHE INFONDO LA VITA DEVE AVERE UN SENSO PIU’ PROFONDO DI QUANTO POSSIAMO IMMAGINARE… 

 

…CI METTIAMO ALLA RICERCA DI QUALCOSA.

 

DI COSA?

 

IN UN PRIMO MOMENTO NON CI E’ CHIARO COSA STIAMO CERCANDO E NON E’ CHIARA NEMMENO L’ORIGINE DI QUESTA NOSTRA PROPENSIONE ALLA RICERCA.

 

LA NOSTRA MENTE E’ ANCORA MOLTO CONFUSA E NON SIAMO, ANCORA, COSCIENTI CHE LA SPINTA ALLA RICERCA PROVIENE DA UN DESIDERIO PROFONDO. PROVIENE DALLA SCINTILLA DIVINA IN NOI.

 

MOLTE ILLUSIONI AFFOLLANO LA NOSTRA MENTE COME PER RISPONDERE, IN APPARENZA, A QUESTO NOSTRO DESIDERIO.

 

PURTROPPO SONO SOLO ILLUSIONI, PRODOTTI DELLA NOSTRA MENTE VOLTI A SODDISFARE L’UNO O L’ALTRO DEGLI IO CHE FORMANO IL NOSTRO EGO.

 

VOGLIAMO RIMANERE IN BALIA DI TUTTI QUESTI IO O DESIDERIAMO, TROVARE LA VERA LIBERTA’ INTERIORE, RISPONDERE ALL’APPELLO DELLA SCINTILLA DIVINA IN NOI?

 

SE TALE E’ IL NOSTRO DESIDERIO, COSA POSSIAMO FARE?

 

INNANZITUTTO DOBBIAMO SCEGLIERE DI PORRE RIMEDIO A QUESTA SITUAZIONE!

 

CON UN ATTO DELLA NOSTRA VOLONTA’, DETERMINATO DAL DESIDERIO DI ASCOLTARE IL DIVINO IN NOI, DOBBIAMO FARE QUESTA SCELTA E CONFORMARVI LA NOSTRA VITA, DOBBIAMO RINNOVARE TALE DECISIONE OGNI GIORNO, OGNI ISTANTE!

 

DOBBIAMO SCEGLIERE DI ORIENTARE SEMPRE PIU’ LA NOSTRA VITA SUL DIVINO IN NOI!

 

GRAZIE A QUESTO ORIENTAMENTO POSSIAMO AUTO-OSSERVANDOCI, ACQUISIRE UNA VERA E SEMPRE MAGGIORE CONOSCENZA DI SE’.

 

UNA REALE CONOSCENZA DI SE’. REALE, PERCHE’ NON SI TRATTA DI  SPECULAZIONI FILOSOFICHE O PSICOLOGICHE MA DI OSSERVAZIONI DIRETTE.

 

RIASSUMENDO:

 

1. IL DESIDERIO PROFONDO DELLA SCINTILLA DIVINA CI SPINGE ALLA RICERCA,

2. MENTRE CI MUOVIAMO SPINTI DA QUESTO DESIDERIO (A VOLTE INCONSCIAMENTE) CI APPARE SEMPRE PIU’ CHIARAMENTE CHE IN NOI C’E’ UN VUOTO CHE VA COLMATO,

3. LE ESPERIENZE CI PORTANO AL LIMITE, AL DECIDERE DI VIVERE UNA VITA COMUNE, LASCIANDOSI DOMINARE DAI VARI IO DEL NOSTRO EGO, OPPURE FARE QUALCOSA PER LIBERARCI DA QUESTA SITUAZIONE E SODDISFARE FINALMENTE IL DESIDERIO DEL DIVINO IN NOI,

4.NEL CASO CHE LA NOSTRA DECISIONE SIA QUELLA DI LIBERARCI DALLA SCHIAVITU DEI VARI IO E SEGUIRE QUANTO IL DIVINO IN NOI DESIDERA, SORGE ORA LA DOMANDA “COME FARE?”. LA RISPOSTA E’ “ORIENTIAMOCI SUL DIVINO IN NOI”.

5. QUESTA E’ UNA SCELTA CHE VA RINNOVATA QUOTIDIANAMENTE, MOMENTO PER MOMENTO TENENDOLA SEMPRE “PRESENTE” IN NOI.

 

QUESTE PAROLE SONO UNA NECESSARIA PREMESSA A QUANTO SEGUE.

 

SIAMO COSCIENTI DEL RUMORE DENTRO DI NOI?

 

ANCHE QUANDO SIAMO ESTERIORMENTE IN SILENZIO, LA MENTE NON SI FERMA MAI.

 

UN FIUME DI PENSIERI SCORRE ININTERROTTAMENTE.

 

QUESTO CHIASSO MENTALE DISTRAE LA NOSTRA COSCIENZA E LE IMPEDISCE DI SENTIRE LA VOCE INTERIORE DELLA SCINTILLA DIVINA.

 

POSSIAMO FERMARE QUESTO CHIASSO?

 

POSSIAMO CON UN ATTO DELLA VOLONTA’ IMPORCI DI NON PENSARE?

 

NO! NON POSSIAMO!

 

QUESTO RUMORE DI FONDO NELLA NOSTRA MENTE E’ L’ESPRESSIONE DELL’INSIEME DI IO, DI ASPETTI, CHE FORMA IL NOSTRO EGO, CIASCUNO DEI QUALI CERCA DI CONQUISTARE L’ATTENZIONE DELLA COSCIENZA.

 

COSA POSSIAMO FARE?

 

LA NOSTRA COSCIENZA DEVE ASPIRARE A RENDERSI INDIPENDENTE DAI TENTATIVI DI CONDIZIONAMENTO EGOCENTRICI DI TUTTI QUESTI IO.

 

LA NOSTRA COSCIENZA DEVE ASPIRARE A TROVARE, A SENTIRE NEL PROFONDO L’UNICA VERA ED IMPORTANTE VOCE, QUELLA DELLA SCINTILLA DIVINA, DELL’ALTRO IN NOI.

 

LA VOCE DI QUESTA SCINTILLA NON SI IMPONE COME QUELLA DEGLI IO, ESSA SI ESPRIME TRANQUILLAMENTE E LASCIA SEMPRE ALLA COSCIENZA LA LIBERTA’ DI ASCOLTARLA O MENO.

 

SE LA COSCIENZA ASPIRA VERAMENTE A UDIRE TALE VOCE, DEVE TROVARE IL SILENZIO.

 

SOLO CALMANDO LE TEMPESTE MENTALI E’ POSSIBILE UDIRE LA VOCE DEL SILENZIO, LA VOCE DELL’ALTRO IN NOI.

 

CI SI POTREBBE CHIEDERE QUESTE SONO BELLE PAROLE MA COME POSSIAMO FARE?

 

SE LA NOSTRA COSCIENZA ASPIRA VERAMENTE A UDIRE L’ALTRO IN NOI, ESSA SI DISPONE NATURALMENTE IN MODO DA ESSERE MENO PERMEABILE ALLE VOCI DELL’IO. POICHE’ ESSA ATTIRA A SE CIO’ A CUI DA ASCOLTO E CERCA DI RESPINGERE CIO’ CHE RITIENE PERICOLOSO O DISARMONICO PER SE STESSA.

 

SE LA NOSTRA COSCIENZA SI ORIENTA SUL FINE DI UDIRE TALE VOCE INTERIORE, SE SI ORIENTA SULL’IDEA DI VIVERE IL PIU’ POSSIBILE IN ARMONIA CON IL DIO IN NOI E FUORI DI NOI,  CON L’UNO, ESSA ATTIRERA’ A SE L’AIUTO DEL REGNO DEL PADRE.

 

TALE AIUTO LE DARA’ SEMPRE PIU LA FORZA PER RIMANERE ORIENTATA SU QUESTO ALTO IDEALE.

 

QUESTO NON SIGNIFICA CHE SI DEBBA COMBATTERE, CON DELLE IMPOSIZIONI DELLA VOLONTA’ CIO’ CHE PROVIENE DAL NOSTRO EGO.

 

QUESTA SAREBBE SOLO UNA FORZATURA.

 

ANCHE COMBATTENDO UNA ASPETTO DELL’EGO, IN EFFETTI LO ALIMENTIAMO POICHE’ CI LEGHIAMO AD ESSO TENENDOLO SEMPRE NEI NOSTRI PENSIERI, COME NEMICO INTERIORE DA VINCERE.

 

SE PERSEVERIAMO NELL’ORIENTAMENTO SULL’ALTRO IN NOI, SUL DIVINO IN NOI, LA FORZA DELLE VOCI DELL’EGO, DEI DIVERSI IO, SI INDEBOLIRA’ SEMPRE PIU’ PERCHE’ AVREMO SMESSO DI ALIMENTARLI COSTANTEMENTE.

 

GRADULAMENTE QUESTI PARASSITI MENTALI, DEPERIRANNO PER MANCANZA DI ALIMENTO, MENTRE L’ALTRO IN NOI RICEVERA’ SEMPRE PIU’ ALIMENTO DALLE FORZE DEL REGNO DEL PADRE, GRAZIE AL FATTO CHE LA NOSTRA COSCIENZA HA COSTRUITO UN PONTE TRAMITE IL QUALE, TALI FORZE, POSSONO GIUNGERE SINO ALL’ALTRO IN NOI.

 

QUESTO ERA IL FAMIGERATO DIGIUNO, L’ENDURA, DEI CATARI!

 

IL FAR DIGIUNARE I MOLTI IO CHE COSTITUISCONO L’EGO E NUTRIRE INVECE L’ALTRO IN NOI, L’ANIMA DIVINA IN NOI!

 

SMETTERE DI ALIMENTARE IN NOI LA MIRIADE DI FANTASMI MENTALI CHE PARLANO COSTANTEMENTE, DISTRAENDOCI DAL SENTIRE LA VOCE DELL’ALTRO IN NOI!

 

A NULLA SERVE ISOLARSI COME EREMITI E DIGIUNARE DAL CIBO MATERIALE! QUESTE PRATICHE NON POSSONO INDEBOLIRE I PARASSITI MENTALI!

 

TALI PRATICHE RISCHIANO SOLO DI DANNEGGIARE IL NOSTRO CORPO FISICO CHE INVECE CI SERVE PER COMPIERE IL NOSTRO CAMMINO INTERIORE VERSO LA LUCE DI CRISTO!

 

SFORZIAMOCI, QUINDI, DI ALIMENTARE SEMPRE PIU’ QUESTA ASPIRAZIONE DELLA COSCIENZA A TROVARE L’ALTRO IN NOI E AUTO-OSSERVIAMOCI PER RENDERCI CONTO DI COME ESSA SIA OSTACOLATA SU QUESTO CAMMINO, OGNI QUAL VOLTA L’ORIENTAMENTO SUL FINE PERDE UN PO’ DI FORZA.

 

 

BUON CAMMINO!